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Ente Agrario

Storia e Missione Ente Agrario

Culturale
Sostenibile

Origine del Dominio collettivo di Collelungo Sabino

Fin tanto che Collelungo fu Comune autonomo, ovvero appodiato di una Comune madre del circondario e nell'ambito dello Stato pontificio, il problema degli usi civici non si pose, nel senso che questi venivano esercitati pacificamente dalla popolazione, su terreni di proprietà collettiva ( già proprietà dei signori di Collelungo ?),nell'ambito dell'autogoverno della comunità collelunghese esercitato da un apposito consiglio, con un'autonomia amministrativa di fatto e nel quadro di un'economia agricola del tutto autarchica.

Il problema si pose, e con forza, quando, dopo l'annessione della Sabina, facente parte della Provincia di Perugia, al Regno d'Italia ( 1860 ) il Comune di Casaprota assunse una connotazione diversa: non più due comunità che si autogovernavano nell'ambito della Comune madre di Casaprota ( una sorta di comune federale ) ma un solo comune, un solo consiglio comunale nel quale erano rappresentate le due comunità cui e, quindi, un solo governo locale, con la conseguente perdita di qualsiasi autonomia e con la condizione di perenne minoranza.

Anche i beni, mobili ( es. Archivi ) ed immobili ( boschi, pascoli, oliveti e fabbricati) già di proprietà della comunità di Collelungo furono acquisiti nella proprietà del Comune di Casaprota. Con la sgradevole conseguenza per di non poter più autodeterminarsi in tutta una serie di questioni pratiche ed economiche, ma di dipendere, talvolta in maniera umiliante, dalla decisione di altri, estranei al circuito della solidarietà comunitaria, anche per le più banali e minute necessità. Non furono facili né l'approccio alla nuova forma dell'autonomia locale né la convivenza delle due comunità sotto lo stesso tetto comunale; una coabitazione obbligata e necessaria, vista la contiguità. Nasceva cosi, all'interno del Comune di Casaprota, quella che io chiamo, parafrasando una ben più ampia problematica, " questione collelunghese": ovvero la ricerca del modo con cui far convivere, in una coabitazione obbligata ma necessaria vista la contiguità, all'interno di una istituzione comune i legittimi interessi di due antiche comunità, costituite da cittadini con uguali diritti e doveri; questione ben nota in tutta la provincia come luogo comune dell'irriducibile antagonismo che esisterebbe tra le due comunità.

Questione, a mio avviso tuttora irrisolta e semmai acuita con l' avvento della costituzione repubblicana ( vedi in particolare l'art. 2 ) e a cui nel tempo sono state date soluzioni diverse ma mai del tutto soddisfacenti. Immagine1 L'aspirazione ad un ritorno dell'antica autonomia è un tratto dominante della comunità collelunghese e nel periodo successivo furono tentate diverse strade per recuperarla: furono proposte al nuovo Stato unitario tre istanze di costituirsi in Comune autonomo ovvero di aggregarsi ad altro comune contermine, ma senza successo. Tuttavia all'inizio del sec. XX, con la nuova legislazione dello Stato Unitario in materia di usi civici ( Legge 4 agosto 1894 n. 397 " Ordinamento dei domini collettivi nelle province dell'ex Stato pontificio ) ed il riconoscimento della personalità giuridica alle Università agrarie, si offri l'opportunità di recuperare uno spazio di autonomia recuperando la proprietà e l'amministrazione dei beni di proprietà collettiva della frazione. L'occasione fu colta al volo e nel 1918, dopo la riconsegna dei beni rurali da parte del Comune di Casaprota ( con l'esclusione quindi degli archivi e dei fabbricati – il forno ed il locale soprastante - ) fu costituita nominato il primo consiglio d'amministrazione provvisorio da parte degli utenti del Dominio collettivo di Collelungo Sabino.

Esso sotto la guida del primo Presidente, Giovanni Filippi, si mise ad operare fattivamente per recuperare vitali spazi di autonomia decisionale ed iniziative che erano avvertite come vitali per la sussistenza stessa della comunità, ma avversate se non addirittura ostacolate dalla maggioranza casaprotana del Comune ( collegamenti stradali, poste, sfruttamento delle sorgenti Le capore, illuminazione elettrica ). Fu, quello del primo ventennio del '900, un periodo di grande vivacità culturale ed operativa della comunità collelunghese: oltre alUniversità agraria di Colle lungo, fu costituita la cooperativa di credito "

Cassa rurale di prestiti di San Clemente" ( 1910 ), fu aperta la strada di collegamento con la Salaria a Ponte Buida ( 1919/23), fu aperto l'Ufficio postale, iniziarono i lavori di captazione e regimazione della sorgente Le Capore ( 1920) , ponendo la premessa per la elettrificazione del paese, fu potenziata la fonte pubblica e costituita la banda musicale I beni di uso civico e loro utilizzazione Cassa rurale di prestiti di San Clemente" ( 1910 ), fu aperta la strada di collegamento con la Salaria a Ponte Buida ( 1919/23), fu aperto l'Ufficio postale, iniziarono i lavori di captazione e regimazione della sorgente Le Capore ( 1920) , ponendo la premessa per la elettrificazione del paese, fu potenziata la fonte pubblica e costituita la banda musicale.


I beni di uso civico e loro utilizzazione

I beni di proprietà collettiva amministrati del Dominio collettivo di Colle lungo sono costituiti:

  • Da boschi cedui, sottoposti a periodico taglio colturale, in totale Ha. 53,78,60;
  • Pascoli, su cui gli utenti potevano pascolare le bestie pagando un modesto canone, per Ha. 27,81,40;
  • Oliveto, che veniva diviso in lotti ed affittato a persone non abbienti della comunità; per ha. 3,58,50;

Tutti i detti bei appartengono al demanio civico collettivo della frazione e tutti gli utenti ne possono godere nelle forme e modi consentiti dal regolamento d'uso. I cambiamenti nell'economia agricola della zona hanno reso inattuale l'utilizzo dei pascoli e su quei suoli regna incontrastata la natura con una superba biodiversità.


Gli usi civici rivendicati: il fiume Farfa e le sorgenti Le Capore.

La popolazione di Collelungo ha avuto da sempre un forte legame con il fiume e le sorgenti, se non altro perché con la forza dell'acqua si procedeva alla trasformazione dei prodotti agricoli: grano e olive e nelle sponde del fiume, nella sponda collelunghese, infatti si trovavano ben due mulini. Ma il fiume e l'imponente e selvaggia sorgente era utilizzata per abbeverare gli armenti , per la pesca e per lo svago di allegre comitive di giovani nei tempi più recenti. Fin da quando la Società Romana di elettricità ebbe la concessione dello Stato per deviare l'acqua delle sorgenti Le capore, il Dominio collettivo di Colle lungo ha rivendicato i propri diritti su di essa e sul fiume Farfa, su cui tuttavia continuava ad avere accesso attraverso un'apposita strada intercomunale.

Dopo l'ultimo e definitivo intervento di captazione, effettuato negli anni '70 e la concessione della sorgente all'ACEA, non solo non sono stati riconosciuti specifici diritti alla comunità di Collelungo, se non indirettamente e per il tramite del Comune di Casaprota, ma sono stati imposti pesanti vincoli di tutela assoluta e primaria a tutela della sorgente ed è stato anche interrotto l'accesso al fiume Farfa e la fruibilità di esso da parte della popolazione. Tutto ciò mentre si duella acremente da parte dei politici locali ( provincia, comune ) per accaparrarsi risorse economiche come ristoro della comunità provinciale, ma senza che nessuno interpelli minimamente la comunità locale che da tutto ciò subisce danni senza trarne nessun vantaggio.


Gli usi civici ed il demanio collettivo per le future generazioni

Dovere primario dell'amministrazione del Dominio collettivo di Colle lungo è quello di amministrare I beni del demanio civico collettivo, utilizzandone saggiamente i proventi e garantendone la loro integrità e destinazione per le generazioni future, anche se, in un contesto economico mutato, ne va rimeditato un uso a favore della popolazione che sia comunque sostenibile garantendo la conservazione della risorsa.


Storia e prospettive dell'istituto degli usi civici

Per secoli la Campagna Romana e i territori limitrofi sono stati feudi delle grandi famiglie romane, prima definite baronali, e poi principesche. All'unificazione italiana uno dei massimi problemi era che dette terre erano molto mal coltivate e con un regime idrico che contribuiva a rendere malsana l'aria della stessa città di Roma. Immagine1 A differenza di altre fasi storiche la politica agraria posta in essere dal governo del Regno d'Italia fu abbastanza equilibrato. Sui vecchi feudi gravavano da tempo immemorabile antichi diritti delle popolazioni locali, inquadrabili negli usi civici, soprattutto di legnatico. Lo scioglimento di una situazione di coesistenza di proprietà piena con diritti reali minori portò ad attribuire agli abitanti stessi un diritto di riscatto, prima pensato in capo ai comuni, considerati come entità amministrativa, e poi attribuito a nuovi soggetti dalla legge Boselli, per i quali era stato riesumato l'antichissimo termine di Università agraria di Colle lungo.

Anche la successiva legge del 1927 sulla liquidazione degli usi civici sostanzialmente vide mantenute queste forme di proprietà collettive. Cambiati i tempi ci si è accorti che le vecchie funzioni sociali di assicurare alle popolazioni umili un bisogno primario com'è la legna per riscaldarsi e per cucinare nei focolari, è da tempo cessata, mentre le proprietà collettive di boschi e di altri terreni può svolgere un ruolo fondamentale per la conservazione del territorio ed anche un'importante fonte di reddito per il territorio attraverso una accorta utilizzazione turistica o comunque dello svago. Diritti spettanti ad una collettività, organizzata o non in persona giuridica pubblica (Legge 397/1894) , ed ai singoli che la compongono, consistenti nel trarre delle utilità elementari da terra , boschi ed acque di un determinato territorio, generalmente quello in cui è stanziata.

Gli "usi civici" si dividono in essenziali e utili, i primi necessari per la sopravvivenza (ex: pascolare ed abbeverare il bestiame, seminare, raccogliere legna per uso domestico, pescare),i secondi hanno invece carattere e scopi industriali (ex: vedere le erbe, pescare con reti, cavare, raccogliere le ghiande o le castagne ). Gli "usi civici" possono insistere su terreni di proprietà privata, ed in tal caso con Legge 1766/1927 sono destinati alla liquidazione (quantificazione economica o cessione di terreno) oppure su terreni di proprietà collettiva, ed in questo caso parliamo del cosi detto "Demanio civico" , inalienabile inusucapibile ed imprescrittibile, da cui tutti i naturali della collettività possono fruire salvo il rispetto di determinate condizioni di esercizio (Regolamenti). Sono "usi civici" minori: il diritto di fare gesso, calce, arena, creta, torba, tagliare pietra, costruire ricoveri finalizzati a lavori stagionali, e abbeverare il bestiame.

I diritti civici su terre private dovevano, pena la decadenza, essere dichiarati entro il 3 aprile 1928 (R.D. 332/1928), contrariamente i diritti civici su terre collettive sono imprescrittibili. Tra i diversi diritti esercitati : Il pascolo. Poteva essere esercitato in genere su tutto il territorio o su larga parte di esso, per l'intero anno o a periodi alterni (estivo o autunnale o invernale), gratuitamente o dietro corrisposta e poteva essere per tutto il bestiame o limitatamente ad alcune specie (buoi aratori). Il legnatico.

Forse il più antico ed il più diffuso diritto, era in genere ristretto a determinate parti di territorio e non esteso a tutte le piante. Generalmente limitato alla legna secca e morta ed ai cespugli infruttiferi. Il taglio della legna era limitato agli usi domestici (riparazioni della casa e degli attrezzi). Il frondatico e il frascatico. Consisteva nel taglio di rami e raccolta delle foglie verdi degli alberi per nutrire il bestiame in esercizio nei luoghi molto freddi poteva essere consentito su particolari terreni . La semina. Generalmente soggetta a corrisposta ed associata al pascolo per i buoi aratori La pesca , limitata in genere al consumo domestico. Il ghiandatico. Era la raccolta della ghianda che secondo i casi poteva essere fatta dietro corrisposta al feudatario, oppure libera dopo la raccolta del feudatario .

Lo spicileggio , la raccolta della spiga nei campi mietuti. Lo spigatico, il pascolo dell'erba spiga nei campi dopo la mietitura (suini). Il ruspo, raccolta di residui di ogni tipo di raccolto (ghiande , spighe, castagne). Fare carbone, implicava il diritto di legnatico, generalmente limitato a zone del territorio comunale, poteva essere gratuito o con corrisposta. Fare calcare, implicava la possibilità di tagliare legna e poteva essere gratuito o con corrisposta. Giuncare, limitato alle aree paludose consentiva di estrarre giunchi a scopo industriale (fare cesti per ex :) Casalinare, la concessione del suolo per edificare un abitazione diffuso essenzialmente in area ex- borbonica, abolito nel 1806 ma sempre preteso dai baroni fu espressamente vietato nel 1809.

Complessivamente nel Lazio le proprietà amministrate dalle Università agrarie ammontano a circa 50.000 ettari di terreno.